Come far passare il carnevale senza le chiacchiere? O frappe, o bugie, o cenci, o sfrappe, o stracci, o rosoni, insomma, come volete chiamarle, perché ogni regione da’ un nome a queste dolcezze, anzi, quasi ogni provincia, se non comune.
E con i diversi nomi, ci sono tantissime varianti di quelle che io chiamo frappe (stiamo a Roma e quindi le chiamiamo così): aromatizzate al limone, alla vaniglia, alcune le annegano nella cioccolata, altri nel miele, molti le fanno al forno … frappe dietetiche? Eresia!!! Solo fritte, rigorosamente fritte altrimenti che frappe sono?
Le varianti sono anche nelle ricette. Sembra una cosa semplice anche qui, cosa ci vuole, uova, burro, vino bianco, farina e … se non si possiede una collaudata ricetta familiare tramandata nel tempo con patti di sangue, ci si imbatte in tante di quelle variazioni da non sapere cosa scegliere. Malgrado i pochi ingredienti, le combinazioni sembrano infinite e, naturalmente, i segreti di quel qualche cosa in più che ti sembra che abbia la frappa che hai assaggiato, non ti vengono mai svelati.
Unica costante, la forma, o quasi, rigorosamente una striscia, un nastro che può avere dei margini dentellati dalla rotella o semplicemente lisci. Qualcuno poi fa delle strisce più larghe e incide a metà la pasta, altri invece fanno strisce più sottili e le avvolgono in un nodo, ma quelle per me non sono frappe, sono nodini!
Questi nastri dolci nel friggere si muovono, si gonfiano, di piegano un po’, insomma hanno dei piccoli guizzi di forma che rendono la catasta finale dei dolcetti una sorta di piccolo groviglio, che mi fa ricordare alcuni incroci autostradali a più livelli visti in Asia.
L’associazione mentale diabolica va però immediatamente ad altri nastri, più “nobili”, che sono l’elemento di riconoscimento delle architetture di Zaha Hadid. Come non associare quindi, le passerelle interne che si incrociano e si sovrappongono all’interno del Maxxi a Roma?
O anche all’esterno, nella piazza estesa del museo dove corrono incessantemente linee che si piegano leggermente e che incessantemente si susseguono formando aiuole, percorsi, linee di luce.
Il tema del nastro in architettura è facile da individuare, molti architetti hanno costruito su questo segmento un’intero pensiero, una “linea continua” che costruisce edifici, superfici, luoghi che si trovano in questo modo avvolti o strutturati in tante fasce dai tanti materiali, colori, andamenti plastici.
Negli ultimi decenni fare a strisce gli edifici è davvero una moda, forse dovuta all’introduzione del malefico codice a barre che è diventato quasi il tormento di ogni studente che si avvicina all’architettura. Semplice e facile proporre la ripetizione di linee parallele che però hanno un guizzo compositivo nella profondità della banda: graficismi che ritroviamo un po’ ovunque oggi. Un tormentone quasi generazionale quindi quello del codice a barre (1948 nascita, 1972 prima uscita dell’applicazione), piccolo grafo che cela informazioni che tu comune mortale non puoi leggere, ma una macchina/lettore si.
La realizzazione della piazza della Repubblica nel distretto governativo Spreebogen a Berlino progettata da Cornelia Müller e Jan Wehberg è proprio un codice a barre di pietra, acqua e prato, un enorme piano rigato dove si alternano superfici omogenee dalle diverse porosità.
Strisce di prato accolgono delle alberature in sequenza oppure solo alcuni esemplari isolati, bande più o meno larghe in pietra diventano i passaggi pedonali oppure piccole superfici dove zampilli d’acqua temporalizzati realizzano momentanei specchi riflettenti. Tutto in una sequenza se vogliamo, anche claustrofobica o un po’ noiosa in quanto la superficie è estesa e questo disegno, portato quasi all’infinito, non regge la scala dell’intervento. Comunque diventa, per chi lo attraversa, una sorta di labirinto lineare o un gioco dove saltellare tra una striscia e l’altra.
Idea semplice ma efficace è invece quella che vediamo nelle strisce modellate del parapetto di un normale edificio residenziale di 72 appartamenti a Nijmegen in Olanda, progettato dallo studio 24H architecture nel 2007. Le fasce del parapetto costruiscono un movimento plastico che avvolge tutto l’edificio e quindi caratterizza il semplice volume edilizio deformando in modo evidente gli angoli del parallelepipedo.
Temo però che sia vietata l’introduzione di piante che possono straripare dal balconcino … scherzo naturalmente, ma neanche tanto, visto che l’immagine riprodotta sulla superficie metallica é proprio quella di enormi foglie che suggeriscono un po’ di verde per cui il parapetto bucherellato a foglie viene incontro a chi non ha il pollice green o detesta le piante perché sporcano.
Altra striscia impazzita è quella che corre lungo quasi 400 metri sul frontemare di Littlehampton in Gran Bretagna ad opera dello Studio Weave. Un filo di Arianna costruito da tanti colorati elementi in legno, una sorta di piccolo Shanghai ordinato che si snoda lungo una linea che fa da margine tra la sabbia e le dune costiere, costruendo di volta in volta panchine, parapetti, cordoli, fino ad arrivare ad una struttura dove la linea ormai si impossessa anche dello spazio verticale, in un gioco di riccioli.
Non sono più divertenti queste panchine che quelle tristezze in cemento che abbiamo nei giardinetti comunali delle infinite sistemazioni dei lungomare italiani?
Sembra quasi una struttura da lunapark, ma in realtà questo nastro, anche lui impazzito, e forse vuole solo raggiungere più velocemente il cielo, è un mirador, ossia una struttura che serve per ammirare il paesaggio e affacciarsi verso altre visioni. La scultura-passeggiata, alta 21 metri, chiamata Tiger and Turtle – Magic Mountain di Heike Mutter e Ulrich Genth è a Duisburg, una piccola città tedesca famosa oggi per il suo parco, progettato da Peter Lazt moltissimi anni fa, un pezzo del paesaggismo contemporaneo sulla riconversione di un ex sito industriale, in spazio pubblico e parco. Chi tra i neo paesaggisti non fa un pellegrinaggio al Duisburg Park perde un pezzo di conoscenza.
Ma se proprio vogliamo fare “quattro chiacchiere” in giardino, allora il posto giusto è dentro l’High Line a New York. Lo so, è un po’ lontano, ma questo giardino, bellissimo in tutti i suoi aspetti, che corre lungo una linea ferroviaria dismessa nel cuore di Manhattan, è un luogo che deve essere visitato per moltissimi motivi. Ideato da James Corner Field Operations, Diller Scofidio + Renfro, con il progetto vegetale di Piet Oudolf, è più che un parco o giardino passeggiata, è un’operazione di riqualificazione urbana attraverso una azione intelligente di progettazione del paesaggio, che non nega l’infrastruttura dismessa ma costruisce, attraverso la memoria, un luogo contemporaneo che genera benessere a 360 gradi.(sul sito potete fare una passeggiata virtuale www.thehighline.org). Sull’High Line ci ritornerò, non temete, raccontando altro perchè non è un argomento da esaurire in poche e scarne battute, anche se fiumi di parole sono stati spesi per questa operazione.
A questo punto il giardino ce lo abbiamo, mancano solo le chiacchiere, o meglio le mie frappe, no?
ricetta per FRAPPE
ingredienti
350 gr di farina 00
80 gr di zucchero semolato
40 gr di burro ammorbidito
un cucchiaio di strutto ammorbidito (io la chiamo sugna -rende l’idea di un grasso insostenibile ma che fa delle mie frappe una piccola striscia che si squaglia in bocca, è questo il mio ingrediente segreto)
1 uovo a temperatura ambiente
3 tuorli d’uovo
mezzo bicchiere vino bianco (ma io spesso metto del martini bianco così aromatizzo l’impasto con un profumo più dolce)
un cucchiaino di lievito per dolci
procedimento
mescolare tutti gli ingredienti e lasciare riposare la pasta in frigorifero per almeno 30 minuti.
stendete la pasta realizzando una superficie sottile, sottile e tagliare a listelle più o meno spesse con una rotella dentata o con un coltello.
friggere in olio bollente (io uso quello di arachidi) e lasciare scolare bene su carta assorbente (io la cambio più volte anche dopo fritte)
spolverare con zucchero a velo vanigliato