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una nota iniziale

La nota riguarda l’illustrazione fatta sui biscotti; li ho realizzati qualche giorno fa avendo in mente solo la Verbena, ma oggi, nel rivedere le foto, mi accorgo che mi sono fatta prendere un po’ la mano e assomigliano un po’ a delle Achillee perché un po’ troppo piatte, per cui chiedo venia, la sac à poche è impazzita, ha girovagato, e mi sa che ho inventato un nuovo individuo.

Ippolito Pizzetti sulla Garzantina curata da lui, alla voce Verbena si poneva una domanda: perché utilizzare i Pelargoni nelle cassette dei nostri balconi (descrivendole come piante stentate, con problemi di ragnetto rosso, un po’ “avvilite”) e non la Verbena, pianta dalla fioritura generosa, da metà giugno a ottobre, e dalle infinite possibilità di colori diversi?

In effetti aveva ragione e forse continua ad avere ragione.

Al di fuori delle Alpi è una perenne strausata, se mi passate il termine.

Beth Chatto la annovera tra le sue 100 piante preferite (vedi il numero di febbraio 2012 di Gardens Illustrated) e quel geniaccio di Piet Oudolf la mette un po’ ovunque.

Come non dare ragione a questi tre illustri personaggi?

Prendo in prestito un appellativo che mi è stato donato da un’amica preziosa; la Verbena è una pianta passepartout. VERO!

Facciamo un po’ di storia spicciola.

Conosciuta dai romani, la Verbena era una pianta sacra, una pianta magica che accompagnava i messaggi di pace degli ambasciatori o veniva posta sugli altari in onore di Venere e Diana, mentre i druidi la utilizzavano per purificare gli spazi sacri, oppure era usata, immersa nell’acqua, per purificare gli strumenti che venivano impiegati nei rituali.

Nelle isole britanniche nel solstizio d’estate, si usava cospargere i campi di Verbena per assicurarsi un buon raccolto.

Alfredo Cattabianchi nel suo Florario scrive che “La Verbena doveva essere un’erba consacrata originariamente alla Grande Madre e greci e romani la chiamavano anche Lacrime di Iside, lacrime di Giunone, Persephonium, Demetria, Cerealis. Si favoleggia che chi avesse posseduto un filo d’erba con una Verbena sarebbe diventato invulnerabile.”

Facendo un salto di secoli, sempre Cattabianchi ci racconta che “In Piemonte fino all’inizio di questo secolo (1900) la gente meno evoluta credeva che soffregandosi della Verbena sul palmo della mano si sarebbe stati infallibilmente amati dalla persona alla quale si sarebbe stratta la mano”.

Ergo, da oggi in poi attenti quando stringete mani …. soprattutto se non si vuol corrispondere …..

Ma il racconto che mi piace di più è quello di Giovanna Belli in Erbe e Piante, proprietà, segreti e storie del mondo vegetale, che racconta come i “Veda, gli antichissimi libri della religione indiana, raccomandavano di leggere i testi sacri seduti su un terreno ricco di verbena, che ne facilitava la perfetta comprensione”.

E allora qui serve subito un bel prato di Verbena per comprendere qualche lettura difficile, come i libretti di istruzione dei nostri elettrodomestici o molti regolamenti e leggi che spesso sono indecifrabili ai comuni mortali.

Sempre Giovanna Belli ci racconta l’origine del nome Verbena: ”indicava indistintamente piante anche molto diverse fra loro, come l’alloro, il mirto e l’olivo, cioè le tipiche piante mediterranee da sempre connesse ai culti più arcaici; poi in una fase successiva, Verbena passò ad indicare una sola erba, un’herba sacra, che veniva colta in un luogo preciso del Campidoglio. […] Il nome deriva dalla stessa radice di Verbera, che significa verghe o vergate, e di verberare, cioè colpire con la verga e frustrare e verbena era appunto l’erba con cui si colpiva il “pater patratus” per elevarlo alle somme funzioni di “ferire foedus”, che noi traduciamo come “stringere un patto”.”

Di storie ce ne sono tante.

A me piace anche l’uso che L. J. Smith, nella serie di romanzi Vampire Diaries, fa della Verbena al posto delle teste d’aglio per proteggere gli umani dai vampiri e quello che si fa in medicina per le sue proprietà digestive, antisettiche e come agente calmante per le emicranie.

Insomma, di racconti ce ne sono infiniti, ma tutti la definiscono una pianta affidabile,che sa fare il suo lavoro con tenacia e dignità. Maledettamente vero visto le capacità di inserimento e adattamento di questa signorina nella progettazione del giardino.

Ogni volta che visito un’opera di Oudolf la cerco con gli occhi, ed immancabilmente fa capolino da qualche parte!

Pizzetti, per esempio, consigliava di piantare la bonariensis ad intervalli tra piante più basse, come la Nepeta, l’Ageratum e la Cineraria maritima.

E’ una perenne generosa dalle forti capacità di auto semina (sempre il famoso olandese la elenca nella categoria delle auto-seminanti come biennale insieme alla Digitalis, Lunaria, Lychnis, Nicotiana langsdorfii, il Verbascum olympicus, l’Agastace foeniculum. ecc.) tanto che l’United States Department of Agricolture in America, la mette nella lista delle specie invasive nello stato di Washington e come tale è diventata un sorvegliato speciale.

Sempre la famosa amica preziosa di cui sopra, mi ha ricordato una cosa che avevo sepolto nella mente, ossia un libro che mi ha accompagnato per molto tempo nei miei studi, sul quale imparavo, o quanto meno cercavo di imparare, la difficile arte di creare un tappeto fiorito. Il libro, in francesce, è quello di Arnaud Maurieres, Eric Ossart e Laure Boucrot, Jardin nomades tapis de fleure del 1997. In questo testo, davvero generoso di illustrazioni, ho incontrato per la prima volta la Verbena bonariensis insieme al Cosmos “Sonata”, il Pennisetum villosa, la Salvia farinacea “Alba” e la Salvia coccinea nel Tapis 4, in una composizione di Eric Ossart per un’aiola di Blois del 1993.

Ossart insieme alla Verbena bonariensis consiglia la Verbena rigida nella varietà “Polaris”. Ma le possibilità associative sono talmente infinite da rendere indispensabile il suo utilizzo ovunque c’è da rafforzare trame, recuperare colori, alleggerire masse: un uso versatile.

E allora, coraggio, una Verbena non si nega a nessuno, un po’ come l’aspirina!


RICETTA DEI BISCOTTI DECORATI

(da colazione o, in formato più piccolo, da ora del tè)

ingredienti

2 uova a temperatura ambiente

100 gr di burro a temperatura ambiente

100 gr di zucchero semolato

300 gr di farina 00

mezza bustina di lievito

 

procedimento

la buccia grattugiata di un limone non trattato – io ho sostituito il limone con la vaniglia in polvere

mescolare burro e zucchero insieme alla vaniglia fino a montare il tutto.

Aggiungere le uova una per volta fino ad assorbimento e in ultimo la farina.

Realizzare un panetto, ricoprirlo di pellicola e farlo riposare per un’ora in frigorifero.

Stendere la pasta fino ad uno spessore di circa 0,5cm, tagliare nelle forme desiderate e cuocere a 180° per circa 20 minuti.


più facile di così!

5 Comments

  • 11 anni ago

    merciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

  • 11 anni ago

    SPLENDIDA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

  • 11 anni ago

    in effetti immaginare Ippolito multicolor è un bel pensiero!

    a me piace pensare alla doppia possibilità che ha il nero per essere realizzato, ossia come mancanza di tutti i colori che formano la luce, oppure come combinazione di più colori che assorbono tutta la luce, beh, allora questa doppia possibilità, che è formata da modalità contrarie, mi piace e molto!

    verbena zabaione …… abbiamo dato ai macarons di Herme un suggerimento per la collezione Jardin!

    in effetti si, un animo un po’ dark c’è ma in senso solare se mi passate la contraddizione!!!! smile

  • lucillazanazzi
    11 anni ago

    In effetti una verbena nera…un chic incredibile per Dark Lady. Una verbena rosa (quasi tutte), prezioso ninnolo per Pink Lady. Le ibride di tutti i colori…per Ippolito Pizzetti. Quelle consigliava da mettere in cassetta invece dei gerani… rosso sangue, blu elettrico, viola sturbo, rosa nausea, bianco sporco, giallo uovo sbattuto con dentro il marsala… Le uniche verbene che il mercato italiano passava a quel tempo.

  • bruna
    11 anni ago

    un taste un pò amaro da arsenico e vecchi merletti, ma forse sarà il mio umor nero del momento

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